AL DON BOSCO RICCHEZZE E TESORI PER LA MIA VITA

maristella e italo

MEMORIE DELL’ORATORIO

LA FAMIGLIA: CULLA DELLA MIA VOCAZIONE
Sembra facile chiedere ad un ex-allievo di raccontare la storia degli anni trascorsi a scuola, come quando ci si abbandona al ricordo tra il commosso e il nostalgico, di un tempo che per tutti, e per ognuno in modo diverso, è stato determinante. Per un ex-alllievo salesiano però è diverso, soprattutto per chi, negli anni, ha fatto del carisma salesiano più di una parentesi scolastica.

Mi chiamo Maristella Vecchi, sono nata a Città della Pieve nel 1976 da una famiglia come tante, composta da quatto persone compresa me. Mio padre Mario operaio, mia madre Maria Rita casalinga e mia sorella Maria Elena, maggiore di quattro anni ed  ex allieva salesiana anche lei. E’ proprio grazie a mia sorella che ho avuto l’occasione di conoscere il Liceo Don Bosco di Perugia. Al termine della scuola media fu lei a scegliere per prima l’indirizzo linguistico come studi superiori, nel liceo Guido d’Arezzo a Perugia. Al quarto anno scolastico le famiglie furono informate che, per mancanza di iscrizioni, l’Istituto non avrebbe riaperto l’anno successivo, mettendo gli studenti letteralmente “in mezzo ad una strada”. Il tempo coincise con la mia scelta  degli studi superiori.

LICEO LINGUISTICO DON BOSCO
Era il 1990. Anch’io appassionata di lingue, fui costretta a cercare un’alternativa, che trovai proprio nell’Istituto Salesiano a cui arrivai perché frequentato dalla figlia di un amico di mio padre, Serena D’Ubaldo. Dopo un periodo di incontri e colloqui, quel luogo mi attraeva sempre di più, come ambiente fisico e nelle persone che avevo incontrato, dandomi la certezza di aver fatto la scelta giusta. Dimostrando una non comune accoglienza (che solo in seguito scoprirò essere un tratto identitario del salesiano) la scuola  fu disposta ad “accogliere” anche le classi orfane dell’Istituto in chiusura, nell’insieme di studenti e professori.

ACCOGLIENZA COME “STILE”
Penso che ACCOGLIENZA sia stata la prima parola che ho imparato e sperimentato grazie a don Bosco, come “stile” appartenente a tutte le persone che ho incontrato, conosciuto e che mi hanno a loro modo formato in quegli anni. Lo stile non lo applichi come una regola da rispettare, ma lo riconosci in chi ha fatto una scelta e la testimonia con la vita di tutti i giorni. Per me riconoscere in ognuno il medesimo stile è stato fortemente educativo, mi faceva sentire all’interno di una famiglia vera e propria, dove tutti vivono e agiscono all’unisono.

L’ABITUDINE A SALUTARSI
La prima persona che incontravo entrando dall’ingresso superiore era Fabiola, in segreteria, sempre sorridente e che non faceva mai mancare il suo saluto a chi entrava. L’abitudine poi era quella di non scendere subito a scuola, ma di passare prima al piano degli uffici e salutare don Giorgio Rivosecchi, immerso nei documenti scolastici che gestiva con innata calma e precisione. La tappa successiva era l’ufficio del direttore, con cui mi fermavo pochi minuti prima di iniziare la mattinata scolastica Qui mi vorrei soffermare perché non stiamo parlando di UN direttore in generale, ma di QUEL direttore, quella persona che per me ancora oggi come allora incarna le tre parole con cui ho imparato a conoscere Don Bosco: padre, maestro ed amico. Quel direttore era don Umberto Tanoni, oggi a Macerata, il direttore della scuola, un amico per molti, un padre per me.

DON BOSCO NELLE PERSONE
Sinceramente a quel tempo non sapevo chi fosse San Giovanni Bosco; la mia formazione cristiana in famiglia ed in parrocchia era più legata all’esperienza francescana. Non ho ricordi in cui don Bosco mi sia stato presentato o raccontato. Mi soffermo un attimo per riportare alla memoria, ma l’unico ricordo vivido nella mia mente è di aver imparato a conoscere don Bosco nelle persone che mi educavano e mi circondavano: gli insegnanti, i sacerdoti salesiani, i salesiani cooperatori, i coadiutori, sono stati punti di riferimento, scolastico ed educativo, figure che hanno contribuito a farmi conoscere Don Bosco nella vita quotidiana, prima ancora di presentarlo come santo e fondatore di una congregazione, adulti credibili che mi hanno insegnato, ognuno a suo modo, qualcosa di speciale, che sia un metodo di studio, un strumento educativo, una massima “concisa e pertinente” da usare al momento opportuno: Don Adelmo Rossi, Don Nicola Cupaiolo, Don Giorgio Pieri, Don Carmine Mandia, Marco Moschini, Francesca Maneggia, Paola Russo, Elena Antonelli, Catherine D’Agata, Mirella Castellani, Paolo Scarabattoli, Teresa Giannelli, Annalisa Federici, ma anche Don Mario Pace, Don Ennio Pastorboni, Sante Toniolo. Non è solo un elenco di nomi, è una sequenza di immagini, momenti, esperienze, che messi insieme fanno e faranno sempre parte della mia storia e della mia famiglia.

LO SPIRITO DI FAMIGLIA
E proprio FAMIGLIA è la seconda parola che ho assaporato in modo del tutto nuovo negli anni trascorsi a scuola. Sì perché in famiglia ci si ama e ci si prende cura gli uni degli altri, ci si rispetta per ciò che si è e si mette l’altro nella condizione di essere la migliore versione di sé. E questo sempre, non solo in una parte della giornata. Negli anni del liceo tutto il tempo trascorso in istituto era tempo in famiglia, non solo dalle 8 alle 13. Scuola erano le lezioni, ma anche il tempo pomeridiano insieme agli amici, ai salesiani, gli esercizi spirituali di Natale e Pasqua, i campi scuola estivi e i fine settimana di spiritualità in quei luoghi che sono diventati luoghi del cuore: Monticchiello, Fonte Avellana, Trevi, Pierle, Giomici, Ussita. Tante occasioni di coltivare amicizie profonde che con il passare degli anni non hanno più avuto modo di godere della quotidianità, ma che rimangono vive in ciò che è nato da esse: scelte di vita, nuove consapevolezze, grandi obiettivi. Quella cosa strana per cui quando ti rincontri dopo vent’anni hai la sensazione che siano passati solo 20 minuti, perché si è legati da lacci indissolubili, resistenti al tempo e alla distanza.

IL VALORE DEL SERVIZIO
Sono tante le esperienze che ho potuto vivere in quegli anni grazie alla scuola, partendo da essa per allargare il mio desiderio di impegno personale e di servizio, rimanendo nella famiglia salesiana. La terza parola che porto con me da questa esperienza scolastica, infatti è proprio SERVIZIO. Da allieva sono stata animatrice, giovane tra giovani coetanei, condividendo la gioia di sentirmi amata con chi aveva fatto le mie stesse esperienze, in Ispettoria, in Italia, in Europa e nel Mondo, sperimentando la globalità del messaggio educativo di don Bosco. Così ho iniziato a prendere sul serio la proposta che mi fu rivolta da don Giorgio Pieri durante l’ultimo anno di liceo: quella di fare la promessa da salesiana cooperatrice. Non è stata una scelta fatta in modo superficiale. Tutt’altro. E’ stata comunque naturale, perché quel carisma salesiano che avevo riconosciuto nei miei educatori come stile di vita, piano piano era diventato anche il mio. È la chiave educativa salesiana: la santità nel quotidiano.

IL CRITERIO ORATORIANO
Il mio desiderio oggi è racchiuso in una parola che raccoglie la ricchezza della mia esperienza: ORATORIO. Le prime volte che frequentavo la consulta ispettoriale, sentivo altri animatori parlare continuamente di “oratorio” ed io continuavo a dire: “io non vengo dall’oratorio”. Solo a distanza di anni ho capito e sperimentato che anche io ero figlia dell’oratorio, inteso come “Casa che accoglie, chiesa che evangelizza, scuola che avvia alla vita”, che oratorio non è un luogo fisico fatto di mura, ma uno stile educativo che può essere vissuto ovunque, portato ovunque e che nella nostra scuola era pregnante. Ed è proprio quello stile che caratterizza ogni figlio di don Bosco che vedevo e riconoscevo nelle persone che ho incontrato. Spero che ancora tanti altri giovani possano avere la grazia di godere del dono che mi è stato concesso, nella ricchezza e varietà delle proposte che solo un cuore salesiano dinamico e creativo può proporre.

PER SEMPRE RICONOSCENTE
L’ultima parola dunque può essere solo GRAZIE, il grazie di un cuore pieno di gratitudine per aver preso la mia vita nel momento delicato dell’adolescenza e di averlo preparato ad una vita piena e realizzata.

Maristella Vecchi
Porto Recanati, 8 dicembre 2020